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Per un dialogo con Dio

Riflessioni sulla preghiera





Questo studio sulla preghiera riporta integralmente il contenuto del libro "PER UN DIALOGO CON DIO" di GUY APPÈRÉ - Edizioni E. P. - C. P. 20 - Finale Ligure (SV)




Introduzione e Capitolo 1:
Il colloquio nella preghiera








1. Introduzione

2. Essere cristiani è pregare

2.a La creatura davanti al suo Creatore

2.b Il peccatore davanti al Dio giusto e santo

2.c Il figlio davanti al Padre

3. Conclusione




1. Introduzione

La preghiera si pone incontestabilmente al centro medesimo della vita cristiana. Essa è inseparabile dalla vita: appare con la vita, della vita è segno: la preghiera è vita.

Il giovane cristiano vive sovente questa realtà senza averne affatto coscienza. Ma colui che ha camminato attraverso le luci e le ombre dell’esistenza in compagnia del suo Dio, che col Padre ha condiviso con sempre maggior intimità le gioie e le pene di una lunga strada, certo ha verificato questa identità: essere cristiano è pregare.

Stando così le cose, non sarà esagerato affermare che una giusta nozione della preghiera è assolutamente indispensabile per una giusta comprensione ed un gioioso sviluppo della vita cristiana. Saper pregare significherà saper vivere!

«Signore, insegnaci a pregare!»: sarà questa la nostra prima preghiera.

È Lui che desideriamo come Maestro, e non l’esperienza umana, per quanto ricca possa essere in questo campo.

È alla scuola di Lui che vogliamo umilmente metterci in ascolto della Sua Parola, unica norma di ogni conoscenza.

Le modeste riflessioni che seguono, e che sono tutte pratiche, non hanno dunque alcuna pretesa di insegnare a pregare. Avranno raggiunto il loro scopo, se avranno aiutato il lettore a rimeditare, per meglio viverla, su questa unica e meravigliosa relazione col suo Dio.



2. Essere cristiani è pregare

Con quali sentimenti ci accostiamo alla preghiera?

È senza dubbio molto importante che noi abbiamo una giusta idea di quello che è la preghiera.

Ma quello che importa ancor di più, è lo spirito nel quale noi preghiamo,

è l’atteggiamento che noi assumiamo dinanzi a Dio quando ci avviciniamo a Lui per pregarLo.

Quello che conta, è che noi sappiamo quali siano davvero le nostre relazioni con Dio.

Chi è Lui e chi siamo noi, in tale colloquio?
Come possiamo, come dobbiamo presentarci?

La preghiera NON è:

l’incontro di due compagni,

né di un benefattore con un mendicante,

d’un capo col suo dipendente,

d’un Dio pronto a tutto fare per uomini pronti a comandare,

d’un padre indulgente con dei figli capricciosi.

La preghiera è l'atto mediante il quale:

la creatura incontra il suo Creatore,

un peccatore il Dio giusto e santo,

un figlio diletto il Padre.

Tre incontri intimamente uniti e simultaneamente vissuti, ma che dobbiamo, per maggior chiarezza, studiare l’uno dopo l’altro.

2.a La creatura davanti al suo Creatore

La preghiera è un incontro di Dio nella Sua infinita grandezza, nella Sua Maestà Unica, nella Sua indipendenza assoluta, nella Sua Sovranità indiscussa e indiscutibile, con la Sua creatura che, del tutto dipendendo da Lui, nulla può e nulla è senza di Lui.

Una distanza infinita separa il sommo Creatore dalla Sua creatura.

Se non abbiamo fin dall’inizio il senso di questa schiacciante sproporzione tra Dio e l’uomo, il nostro atteggiamento non sarà quello giusto e la nostra preghiera perderà molto della sua efficacia.

L’Ecclesiaste era ben cosciente di tale abisso allorquando scriveva: (Eccl. 5:2) «Non essere precipitoso nel parlare, e il tuo cuore non s’affretti a proferir parola davanti a Dio; perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra».

Al cospetto del Signore, l’apostolo Giovanni cade «ai Suoi piedi come morto» (Apoc.1:17) e Giobbe, vinto, deve riconoscere: «Tu puoi tutto, e nulla può impedirti di eseguire un Tuo disegno. Sì, ne ho parlato, ma non lo capivo; son cose per me troppo meravigliose ed io non le conosco. Il mio orecchio aveva sentito parlare di Te, ma ora l’occhio mio T’ha veduto. Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere». (Giobbe 42:2-6)

Quando Mosè incontrò il Signore nel deserto del Sinai, «si nascose la faccia perché aveva paura di guardare Iddio». (Es. 3:6).
Il fatto è che egli aveva coscienza dell’infinita grandezza di Dio: e non avrebbe potuto essere diversamente, dato che il suo divino interlocutore gli sottolineava il carattere solenne di tale incontro: «Non t’avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai, è suolo sacro». (Es. 3:5).

Questo comprendere l’infinita grandezza di Dio, questo sentire la nostra debolezza, sono le caratteristiche essenziali d’un autentico spirito di preghiera.

Quanto la certezza della nostra condizione di figli potrà suggerirci di intimità, di semplicità, di audacia persino, non potrebbe cancellarle.

Confidenze di figlio, umiltà di creatura.

Questi due sentimenti, ben lungi dall’escludersi a vicenda, si completano e si arricchiscono l’un l’altro.

2.b Il peccatore davanti al Dio giusto e santo

Noi siamo altresì dei peccatori: di fronte al Dio perfettamente giusto e santo, non solo ci sentiamo indegni, ma ci riconosciamo colpevoli.

Dio ha «gli occhi troppo puri per sopportare la vista del male» (Abacuc 1:13).
Ora, noi abbiamo commesso il male. «Se diciamo di non aver peccato, Lo (Dio) facciamo bugiardo, e la Sua Parola non è in noi» (1ª Giov. 1:10).

D’altronde, nemmeno colui che in tutta sincerità si credesse giusto ed esente da colpa potrebbe resistere un solo istante davanti a Dio, nella preghiera autentica, senza essere indotto a prendere coscienza del proprio peccato.

Al cospetto del Dio tre volte santo, ogni uomo si scopre peccatore, perduto.
Nessuno può «stare in piedi» alla presenza di Dio.

Il fariseo non era affatto in preghiera, quando ritto e con gli occhi levati al cielo diceva dentro di sé: «O Dio, Ti ringrazio ch’io non sono come tutti gli altri uomini» (Luca 18:11). Egli era persuaso di essere giusto; ma ciò non poteva avvenire che in assenza di Dio.

Il fariseo non pregava: si beava di parole, ingannava se stesso.

Il pubblicano sì che era in atteggiamento di vera preghiera.
Egli stava alla presenza del Dio invisibile. Dio era lì, realmente presente, al punto che il peccatore non ardiva neppure alzar gli occhi.

Battendosi il petto, egli mormorava la sola preghiera che si addice all’uomo cosciente della santità divina e del proprio peccato:
«O Dio, sii placato verso me peccatore!» (Luca 18:14). Era questo tutto quanto egli poteva dire, perché, alla presenza di Dio, tutto il suo peccato veniva alla luce.

Lo spirito del pubblicano che si rende conto che tutto è grazia da parte di Dio: ecco lo spirito che deve permeare la nostra preghiera.

Gli uomini di ogni tempo si sono comportati, davanti a Dio, in questo modo, anche quelli che non hanno conosciuto nella sua pienezza, come il figlio della nuova alleanza, il dono della grazia divina.

Sarà sufficiente ricordare il grande Isaia che, adorando nel tempio, incontrò Dio personalmente: «Ahi, misero me, ch’io son perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure, e gli occhi miei han veduto il Re, l’Eterno!» (Isaia 6:5).

Ecco il segno d’un vero incontro con Dio, d’una vera preghiera. Quanto essa è umile!

Da questo segno si può riconoscere l’uomo che incontra Dio: egli non prega per essere ascoltato dagli altri, egli prega Dio: si sente confuso davanti alla divina santità.

Ma, se questa nota è essenziale, non è l’unica.

La preghiera non suona su una corda sola. Il cantico dei riscattato non è il canto grave del solo basso, né quello sobrio del tenore; neppure la melodia graziosa e leggera del soprano.
È un’armonia in cui ogni voce trova il proprio posto.

2.c Il figlio davanti al Padre

Al timore rispettoso che la grandezza del Creatore suscita nello spirito della creatura,

al sentimento di condanna che la santità di Dio fa nascere nell’anima dei peccatore,

va aggiunta la certezza semplice e gioiosa di cui l’amore del Padre inonda il cuore del figlio.

Poiché la preghiera, nel medesimo tempo, è anche il luogo d’incontro dell’amore del Padre con l’amore del figlio.

La vera preghiera manifesta perfettamente questo profondo sentimento filiale. Una volta o l’altra, nella sua espressione o nel suo spirito, la preghiera deve lasciarsi sfuggire questo grido spontaneo del cuore, questo grido così pieno e profondo: «Padre!» (Rom. 8:15).

«Padre!».

Questa parola vale da sola tutto un mondo, per il cristiano.

In essa si compendia un’esperienza intraducibile, fatta di ammirazione, rispetto, riconoscenza, tenerezza, umiltà, abbandono, confidenza, e di molti altri moti e slanci dell’anima che non hanno nome.

Sì, malgrado tanta debolezza, piccolezza, peccato e indegnità da parte nostra, noi siamo «figli di Dio»!!! (1ª Giov. 3:1).

Il ricordo della nostra piccolezza davanti al Creatore, del nostro peccato davanti al Dio santo, anziché estinguere il nostro sentimento filiale, lo sviluppa, sottolineandone e rivelandone tutta la profondità.

Noi non possiamo gridare: «Padre» nel pieno significato di tale parola, se non abbiamo, come Davide, sospirato: «Che cos’è l’uomo, che Tu ne abbia memoria? e il figlio dell’uomo, che tu ne prenda cura?» (Salmo 8:4); se non abbiamo, come Isaia, esclamato: «Ahi, misero me, ch’io son perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure, e gli occhi miei hanno visto il Re, l’Eterno!» (Isaia 6:5)

Non v’è amore senza ammirazione, senza riconoscenza.
L’amore non germina nel terreno del dovere o della rivendicazione, ma in quello della gratuità della Grazia.



Quale sentimento di liberazione, quale esplosione di gioia, quando, dopo tanti gemiti, o gemendo ancora sul peccato, noi vediamo risplendere l’amore di Dio nella notte della nostra tristezza!

L’amore di Dio è Gesù Cristo, ed è alla croce!

Quale esperienza, quando nel nostro disperare tra la Legge e il peccato, la gloria di Cristo prorompe dall’Evangelo, quando il Cristo della storia diventa il Cristo della nostra vita, il Cristo della nostra intelligenza, il Cristo del nostro cuore!
La croce acquista l’intero suo senso.
L’oscurità del Calvario si rischiara dei raggi della Pasqua «perché l’Iddio che disse: “Splenda la luce fra le tenebre”, è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo» (2ª Cor.4:6).

Il Dio Creatore, Onnipotente, che sta all’origine di tutto; il Dio giusto e santo che ha proclamato la Sua Legge santa ed implacabile, è altresì il Dio della Grazia.


Non c’è opposizione tra il Dio dell’Antico Testamento e quello del Nuovo Testamento, perché «Gesù Cristo è l’immagine dell’invisibile Iddio» (Col.1:15).
È Lui che ci rivela il Padre e ci conduce a Lui nella riconciliazione. La Legge ci ha condotti a Cristo, e Cristo ci ha condotti al Padre (Giov.14:6-9).

Ma, una volta entrati con Cristo nella comunione del Padre, si dovrà dimenticare la Legge, allontanare dal cuore l’espressione della santità di Dio?

Niente affatto.
Secondo le parole medesime di Gesù, tutta la legge si riassume nell’unico vocabolo: «amore»; amore verso Dio e verso il prossimo. E Gesù va ancora oltre, quando mostra che «tutta la Legge e i profeti» affondano le loro radici in questo amore, non sono che l’espressione di esso (Matt. 22:36-40)

Non esiste alcun contrasto tra la Legge e la Grazia, come talvolta si vorrebbe fare apparire; esiste invece piena opposizione tra lo spirito legalistico e quello della Grazia: Gesù non è venuto «per abolire la legge, ma per compierla» (Matt. 5:17).

La pace che dà l’assicurazione della salvezza non deve mascherare ai nostri occhi le tristi realtà del peccato.
La gioia perfetta del perdono può coesistere con la tristezza per le nostre debolezze che ci fa sospirare le perfezioni del cielo. Nelle nostre gioie più pure, dev’essere presente la croce.

«L’amore caccia via la paura» del castigo che avrebbe dovuto colpire il peccato; ma non caccia via il timore di dispiacere al Signore. Il vero figlio è obbediente al padre non per timore di punizioni, ma per non dispiacerGli (1ª Giov.4:18).

Non è lo spettro del castigo che ne guida l’azione, è l’amore!

Una certa forma di timore è compatibile con l’amore.

Il vero amore è sostanzialmente fatto, in parte, di tale timore che è rispetto e riverenza.
Dio, che nel perdono ha dimenticato il nostro peccato, non ci chiede affatto di dimenticarlo: «Ricordati da dove sei uscito» (Matt.7:18; Deut.9:7).

È certamente nostra salvaguardia, il ricordare.
Davide, che seppe cantare così bene il perdono di Dio, doveva pur tuttavia, per l’intera sua vita, avere sotto gli occhi, nelle sue terribili conseguenze, il ricordo di uno dei suoi peccati.

3. Conclusione

Il sentimento di debolezza e di dipendenza della creatura al cospetto del suo Creatore,

il senso di indegnità del peccatore davanti al Dio tre volte santo,

il provare gioia e libertà del figlio davanti al Padre,

sono le tre condizioni del giusto atteggiamento nella preghiera.


Dio, creatore e sovrano di tutte le cose, eterno, infinito, immutabile, onnipotente, onnisciente, perfettamente saggio, santo, giusto e buono, al Quale sono dovute in sommo grado obbedienza e confidenza e riconoscenza e amore e lode ..., e l’uomo!

È alla luce di tale colloquio straordinario che va considerato per intero questo argomento della preghiera che deve essere risolto ogni problema che ne derivi.

Non dovremmo mai permettere ai nostri concetti, interpretazioni, argomentazioni, di diminuire la grandezza di Dio; non dovremmo mai perdere di vista il posto modesto dell’uomo al quale è fatta la grazia di tale incontro.

LA SOLA GLORIA DI DIO DEVE ISPIRARE IL NOSTRO ATTEGGIAMENTO!


RIASSUMENDO:

La preghiera si pone al centro della vita cristiana ed è inseparabile dalla vita: appare con la vita, della vita è segno: la preghiera è vita.

Il giovane cristiano spesso vive questa realtà senza averne affatto coscienza, ma colui che ha attraversato tutta la sua esistenza in compagnia del suo Dio, certo ha verificato questa identità: essere cristiano è pregare. Allora la nostra prima preghiera sarà proprio: «Signore, insegnaci a pregare!»


Capitolo 1: Essere cristiani è pregare

Con quali sentimenti ci accostiamo alla preghiera?

La preghiera NON è: l’incontro di due compagni, né di un benefattore con un mendicante, d’un capo col suo dipendente, d’un Dio pronto a tutto fare per uomini pronti a comandare, d’un padre indulgente con dei figli capricciosi.

La preghiera è l'atto mediante il quale: la creatura incontra il suo Creatore, un peccatore il Dio giusto e santo, un figlio diletto il Padre.


La creatura davanti al suo Creatore

La preghiera è un incontro di Dio nella Sua infinita grandezza, nella Sua Maestà Unica, nella Sua indipendenza assoluta, nella Sua Sovranità indiscussa e indiscutibile, con la Sua creatura che, del tutto dipendendo da Lui, nulla può e nulla è senza di Lui. Una distanza infinita separa il sommo Creatore dalla Sua creatura!

Questo comprendere l’infinita grandezza di Dio, questo sentire la nostra debolezza, sono le caratteristiche essenziali d’un autentico spirito di preghiera.

Confidenze di figlio, umiltà di creatura:questi due sentimenti, ben lungi dall’escludersi a vicenda, si completano e si arricchiscono l’un l’altro.


Il peccatore davanti al Dio giusto e santo

Noi siamo altresì dei peccatori: di fronte al Dio perfettamente giusto e santo, non solo ci sentiamo indegni, ma ci riconosciamo colpevoli.

D’altronde, nemmeno colui che in tutta sincerità si credesse giusto ed esente da colpa potrebbe resistere un solo istante davanti a Dio, nella preghiera autentica, senza essere indotto a prendere coscienza del proprio peccato. Al cospetto del Dio tre volte santo, ogni uomo si scopre peccatore, perduto.

Lo spirito del pubblicano che si rende conto che tutto è grazia da parte di Dio: ecco lo spirito che deve permeare la nostra preghiera.


Il figlio davanti al Padre

Al timore rispettoso che la grandezza del Creatore suscita nello spirito della creatura, al sentimento di condanna che la santità di Dio fa nascere nell’anima dei peccatore, va aggiunta la certezza semplice e gioiosa di cui l’amore del Padre inonda il cuore del figlio, poiché la preghiera, nel medesimo tempo, è anche il luogo d’incontro dell’amore del Padre con l’amore del figlio.

Sì, malgrado tanta debolezza, piccolezza, peccato e indegnità da parte nostra, noi siamo «figli di Dio»!!! (1 Giov. 3:1).

Il ricordo della nostra piccolezza davanti al Creatore, del nostro peccato davanti al Dio santo, anziché estinguere il nostro sentimento filiale, lo sviluppa, sottolineandone e rivelandone tutta la profondità.

Quale sentimento di liberazione, quale esplosione di gioia, quando, dopo tanti gemiti, o gemendo ancora sul peccato, noi vediamo risplendere l’amore di Dio nella notte della nostra tristezza!

Il Dio Creatore, Onnipotente, che sta all’origine di tutto; il Dio giusto e santo che ha proclamato la Sua Legge santa ed implacabile, è altresì il Dio della Grazia.

Ma, una volta entrati con Cristo nella comunione del Padre, si dovrà dimenticare la Legge, allontanare dal cuore l’espressione della santità di Dio? Niente affatto. Secondo le parole medesime di Gesù, tutta la legge si riassume nell’unico vocabolo: «amore»; amore verso Dio e verso il prossimo.
Non esiste alcun contrasto tra la Legge e la Grazia, esiste invece piena opposizione tra lo spirito legalistico e quello della Grazia.

La pace che dà l’assicurazione della salvezza non deve mascherare ai nostri occhi le tristi realtà del peccato.
La gioia perfetta del perdono può coesistere con la tristezza per le nostre debolezze che ci fa sospirare le perfezioni del cielo. Nelle nostre gioie più pure, dev’essere presente la croce.

Il vero figlio è obbediente al padre non per timore di punizioni, ma per non dispiacerGli (1 Giov.4:18). Non è lo spettro del castigo che ne guida l’azione, è l’amore!


Conclusione

Il sentimento di debolezza e di dipendenza della creatura al cospetto del suo Creatore, il senso di indegnità del peccatore davanti al Dio tre volte santo, il provare gioia e libertà del figlio davanti al Padre, sono le tre condizioni del giusto atteggiamento nella preghiera.

È alla luce di tale colloquio straordinario che va considerato per intero questo argomento della preghiera che deve essere risolto ogni problema che ne derivi.